Paolo Giordano: “Il volontariato si fa con l’entusiasmo, non con l’abitudine”

“Non basta il tempo libero, ci vuole il desiderio di riempirlo con qualcosa che abbia senso, qualcosa che ti faccia sentire parte di un cambiamento.”

Quando Paolo Giordano è andato in pensione dopo una vita da funzionario all’INPS di Avellino, non ha avuto dubbi su cosa fare del suo tempo libero. Nel 2021, spinto dall’invito di un amico e da un’idea che subito lo ha conquistato, ha varcato la soglia della Cittadella della Carità e ha scelto di mettersi in gioco. Oggi è una presenza attiva e affidabile, un punto di riferimento per tanti.

“Mi ha coinvolto l’entusiasmo. E il volontariato, per come lo intendo io, si sposa solo con l’entusiasmo. Non è qualcosa che fai perché devi: lo fai perché vuoi. Perché hai voglia di sentirti utile, di dare un senso concreto alle tue giornate.”

Paolo ha iniziato occupandosi della distribuzione dei pacchi alimentari, poi è passato al centro d’ascolto per persone migranti. Un luogo delicato, dove le storie arrivano cariche di dolore e speranza, di spaesamento e desiderio di riscatto.

“La casistica è ampia, ma molti arrivano con occhi pieni di paura. Sono persone che hanno subito traumi, spesso violenze psicologiche e fisiche. Hanno difficoltà enormi a comunicare, faticano a fidarsi, a socializzare. Penso a Faimh, ad esempio, così chiuso nel suo silenzio iniziale.”

Paolo racconta con delicatezza il lavoro quotidiano fatto di ascolto e pazienza. “La fiducia non si ottiene subito. Si conquista, un giorno alla volta. Bisogna saper leggere tra le righe, capire come porsi, con rispetto, con discrezione. C’era Suleman, ad esempio, che non riusciva a parlare con una donna, aveva un blocco fortissimo. Anche solo trovare le parole giuste con lui era un esercizio continuo di empatia.”

Una delle sfide più grandi, racconta Paolo, è abbattere il guscio che molte di queste persone si costruiscono per sopravvivere. “Quel guscio è la loro difesa dal mondo. Romperlo non è semplice. Ma quando ci riesci, vedi rifiorire qualcosa. Una luce nello sguardo, una parola che finalmente si lascia andare, un gesto di riconoscenza.”

Non mancano però i momenti difficili, di tensione e frustrazione. Come quando alcuni migranti lasciavano parte del pacco alimentare per condividerlo. “Sono dinamiche complicate. Ma ci aiutano a capire quanto la povertà sia democratica: non guarda il passaporto. E quanto sia necessario lavorare su una cultura dell’accoglienza e della solidarietà che valga per tutti, senza distinzione.”

La Caritas oggi fornisce aiuto alimentare a oltre 450 persone. Un numero impressionante, che racconta di un bisogno crescente. “Alla povertà cronica che già conoscevamo, si è aggiunta l’emergenza delle famiglie ucraine arrivate con la guerra. Donne e bambini spesso spaesati, che non sanno da dove cominciare. Ma qui trovano almeno un punto fermo, un volto amico.”

Quando gli si chiede cosa lo spinge a continuare, Paolo non ha dubbi: “La soddisfazione è tutta lì, nel sapere che qualcuno oggi è meno solo, che ha trovato un appoggio. Il volontariato non è solo ‘dare una mano’: è stare accanto. È esserci. E ogni volta che una persona ti ringrazia con gli occhi, capisci che quel tempo che hai donato è stato riempito del senso più bello.”